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Angurie: un mercato a due facce
Da una parte prodotto tradizionale in sofferenza pesante, dall’altra midi brandizzate in progressivo sviluppo

L’agosto nero delle angurie non è solo un bel titolo giornalistico ma rappresenta anche una realtà drammatica per tanti produttori, anche non improvvisati, attratti da un mercato che, negli ultimi anni, aveva riservato molte soddisfazioni grazie al traino verso l’alto delle quotazioni di tutta la categoria, assicurato dalle angurie midi brandizzate.
Uno specchietto per allodole che ha sicuramente ingolosito sia operatori specializzati che diversi player spot che hanno aumentato gli investimenti ma che, complice il meteo, quest’anno ha portato un conto salatissimo, facendo pagare caro l’azzardo per effetto di un surplus produttivo importante. La dimensione esatta del fenomeno non è nota, poiché in Italia nessuno sa – se non a spanne – quale sia la superficie investita ad angurie ma, di certo ha avuto dimensioni imponenti, se la notizia di cocomeri trinciati in campo è passata dalle testate specializzate ai quotidiani e ai telegiornali, tanto di divenire notizia di attualità.
Visto che la problematica ha riguardato pesantemente solo il periodo che va dalla seconda metà di luglio alla prima di agosto e, alla fine, l’annata si chiuderà nel complesso dignitosamente, come abbiamo già anticipato ieri (clicca qui per approfondire), il sentiment che respiro non è di particolare preoccupazione. Un’annata un po' balorda, come ogni tanto capita.
Vorrei però portare alla vostra attenzione un paio di considerazioni che, a mio avviso, dovrebbero indurre qualche riflessione oltre il contingente. La prima riguarda la tempesta perfetta che ha colpito il comparto sul fronte produttivo. È vero che la sovrapposizione dell’arrivo in produzione di più cicli di trapianto, a seguito delle cattive condizioni climatiche di luglio, è la prima causa del disastro e che, la seconda, è l’eccessiva brevità dei cicli di alta pressione, che hanno reso difficile il consolidamento della domanda in un prodotto ad altissima meteoropatia (clicca qui per approfondire), ma è altrettanto vero che questa sarà sempre più la regola e non un’eccezione in una fase climatica dominata da fenomeni estremi.
La ricetta perciò non è puntare sulla cabala favorevole ma rendere meno meteoropatico il prodotto, come già ben avviato con angurie midi e mini. Il fatto che le promozioni sull’anguria tradizionale non abbiamo spostato i consumi di un millimetro ma solo fatto abbassare i prezzi, dovrebbe infatti far altrettanto riflettere, poiché – viceversa – le promozioni per le midi brandizzate, necessarie anche in questo caso per sostenere un mercato agostano fiacco, hanno invece dato dinamica ai consumi, affossando però ancor più il prodotto tradizionale.
L’ultima considerazione riguarda il ruolo della marca come elemento di fidelizzazione della clientela. Come vado dicendo oramai da tanto tempo, non c’è differenza fra frutta e biscotti, il prodotto brandizzato che soddisfa fidelizza, indipendentemente dal comparto. In questa campagna angurie, dove fra il top di gamma midi e l’anguria tradizionale il differenziale prezzo è stato anche di 4 volte e più, la prima è cresciuta a due cifre metre l’altra è sprofondata, complice per quest’ultima anche una qualità più bassa del solito. In ortofrutta non è più il tempo di produzioni improvvisate per un mercato da inventare ma di progetti di costruzione del valore nell’ottica del cliente. Il fatto che a insegnarcelo sia il prodotto simbolo dell’offerta a 1 centesimo al kg di qualche anno dovrebbe farci pensare alle tante opportunità che stiamo perdendo proponendo prodotti anonimi di qualità inadeguata. (bf)
