«Per ogni molecola che ci tolgono rischiamo di perdere una coltura»

Davide Vernocchi, Presidente di Apo Conerpo, interviene senza mezzi termini sul tema della revoca dei prodotti fitosanitari

«Per ogni molecola che ci tolgono rischiamo di perdere una coltura»

Non si placa il dibattito a seguito della nostra inchiesta sulla riduzione dei prodotti fitosanitari (clicca qui per approfondire). Dopo l’intervento della prof.ssa Gullino (clicca qui per approfondire), pubblichiamo le considerazioni che Davide Vernocchi (nella foto in apertura), Presidente di Apo Conerpo, principale OP ortofrutticola europea, ha voluto condividere con IFN.
 

Fabrizio Pattuelli - L’Italia ha perso l’80% dei prodotti fitosanitari, con una accelerazione dal 2000 ad oggi. Quali sono le ricadute sul settore ortofrutticolo? 
Davide Vernocchi - Oggi in Italia si coltivano circa un centinaio di specie, tra orticole e frutticole: al punto a cui siamo oggi, per ogni molecola che ci tolgono - che si tratti di un insetticida, di un fungicida o di un erbicida - rischiamo di perdere una coltura che caratterizza il tessuto produttivo italiano. E voglio sgombrare subito il campo dagli equivoci: il problema non si risolve con maggiori contributi per indennizzare i produttori. Le aziende agricole non vogliono mancette o sostegni ulteriori: vogliono guardare il presente e il loro futuro producendo bene e in maniera competitiva. 
Ogni prodotto fitosanitario il cui utilizzo venga depennato dall’Europa impatta sulle aziende agricole in termini di competitività e sostenibilità: senza le poche, pochissime molecole ormai utilizzabili, il costo di produzione sale sensibilmente e diventa sempre più difficile per chi produce restare sul mercato a un livello competitivo. E così si rischia che la produzione si sposti in altri areali, dove la coltura è possibile a costi più ridotti, e che intere filiere che caratterizzano il nostro Paese, la nostra tradizione e la nostra alimentazione, scompaiano e neanche tanto lentamente. Basti pensare che oggi parte dell’industria degli agrofarmaci comincia a considerare il mercato europeo non strategico per il proprio business e punta a mantenere prodotti da noi aboliti ma utilizzabili in altri continenti. In questo modo, però, la tempesta perfetta scatenata dal cambiamento climatico e aggravata dall’approccio ideologico della Commissione Europea trova nell’atteggiamento dell’industria un ideale - e gravissimo - puntello.

Non dobbiamo stupirci della rabbia montante nel mondo della produzione: dopo la pandemia, la Comunità Europea si è accorta dell’importanza della sovranità alimentare e ha cominciato a parlare di centralità dell’agricoltura ma, a oggi, questi proclami non si sono tradotti in azioni. Manca, mi spiace dirlo, coerenza fra parole e atti. Dopo le proteste di febbraio 2024, erano state fatte promesse importanti in questo senso, ma oggi la realtà è che Bruxelles continua a non ascoltare il mondo agricolo, mentre sembra avere orecchie solo per le argomentazioni ideologiche delle “sirene” delle ONG. Ma così la nave, come nel poema omerico, finirà per schiantarsi sugli scogli.

Defogliamento causato da Glomerella Leaf spot (GLS); credit: Laimburg Research Centre

Pattuelli - E non è solo un problema di molecole che vengono tolte, che già basterebbe: c’è anche il tema dei nuovi LMR.
Vernocchi - In passato i produttori agricoli potevano contare su diverse alternative: se un prodotto veniva revocato, c’era sempre - o quasi - un’alternativa a cui fare riferimento. Oggi lavoriamo con il 70% di molecole in meno rispetto a qualche anno fa e questo ci priva di qualunque alternativa ed è per questo che, giorno dopo giorno, perdiamo specie, produttori, filiere.
Ma non solo: oggi il nuovo “trucco” è quello di non intervenire rimuovendo molecole utilizzabili ma agendo sui Limiti Massimi di Residui (LMR), abbassandoli così tanto da rendere, di fatto, inutilizzabili anche i prodotti ufficialmente consentiti. Limiti che, inoltre, impattano anche sul mondo della Distribuzione: usando i nuovi LMR, anche prodotti coltivati la scorsa estate, prima dell’arrivo dei nuovi parametri e attualmente in decumulo, risultano non adeguati alla vendita. 
Ma così il risultato può essere uno solo: la perdita di colture e filiere; lo abbiamo visto con il pero, dove si era stimata una perdita progressiva di ettari ma non un'ecatombe. Invece, la verità è che, dati alla mano, quando una coltura perde competitività, le superfici crollano con estrema rapidità, in particolare se parliamo di colture arboree, con elevati investimenti: per il pero si parla di 20mila euro per ettaro all’anno di costi. 
Ma il pero è solo la punta dell’iceberg: patate e il pomodoro da industria fissano l’asticella intorno ai 10mila euro/ettaro e non nascondo che abbiamo forti timori anche per la produzione di kiwi: il cambiamento climatico toglie ore di freddo alle piante per garantire la giusta produttività e i produttori sono disarmati. Peccato che a pochi km di distanza, in Grecia, su questa coltivazione si possano usare in deroga molecole proibite in Italia e questo affossa la competitività dei nostri produttori. 
Lo scenario, non lo nascondo, è gravissimo: se perdiamo i produttori e la loro professionalità, le filiere sono condannate.

Pattuelli - Tema sprechi: l’impossibilità di trattare le malattie genera maggiori scarti e quindi più sprechi, soprattutto in filiere che non hanno il “paracadute” del prodotto da industria come il cachi.
Vernocchi - Anche questo è un problema molto serio: quest’anno è esploso il caso della Glomerella, una malattia fungina che colpisce i meleti. Questa avversità si manifesta in prossimità della raccolta dei frutti e non solo causa la cascola di percentuali importanti di mele, intorno al 30%, ma intacca anche la qualità di frutti che, pur restando sull’albero, diventano completamente inutilizzabili sia sul mercato del fresco che per l’industria. La colpa, ancora una volta, non è dei produttori - che sono disarmati contro questa patologia - ma l’opinione pubblica vede le immagini dei frutti a terra e ci accusa di essere responsabili di un intollerabile spreco. Un’accusa dolorosa e grave ma, soprattutto, ingiusta per tutti i produttori che vogliono solo portare a compimento i risultati di impegno, fatica e investimenti e invece si ritrovano con il 60% dei frutti a terra o inutilizzabili.  


Pattuelli - Guardando oltre confine si notano due fatti: nella UE alcuni Paesi sono più furbi (o più bravi) come la Spagna e la Grecia, mentre fuori dall’UE c’è più libertà di azione. Cosa può fare la rappresentanza politica per limitare queste disparità nei confronti del produttore italiano?
Vernocchi - Torno su un concetto su cui sono intervenuto più volte: serve reciprocità. Nelle regole, nei trattamenti, negli obblighi. E serve un messaggio forte contro quelle sirene che dicono “la frutta italiana è diventata cara, andiamo a comprarla altrove”. Non vogliamo che le nostre filiere diventino merce di scambio per altri prodotti al di fuori del mondo agricolo e non vogliamo contributi ulteriori, sostegni o pannetti caldi. Le nostre aziende agricole vogliono tornare ad essere competitive. L’Europa deve capirlo. 

(gc)

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