Marangoni: "All’ortofrutta serve visione, progettazione e conoscenza"

Un concentrato delle esigenze del settore per una sua “ristrutturazione”

Marangoni: "All’ortofrutta serve visione, progettazione e conoscenza"

Cari Amici,
vi ringrazio per aver mantenuto vive le molte problematiche che affliggono la frutticoltura del nostro territorio. Credo che siamo in una fase non di cambiamento ma di ristrutturazione dell’intero sistema frutticolo e agroalimentare. Purtroppo si parla di crisi del pesco, del pero, e altre specie ma non vi è una visione mirata al futuro, che tenga conto dell’evoluzione delle abitudini alimentari e del cambiamento sociale che coinvolge soprattutto le giovani generazioni. Manca una progettazione frutticola concertata fra Istituzioni pubbliche e Associazioni dei produttori; continuano le azioni settoriali e i finanziamenti a “pioggia” per cui non possiamo reggere la concorrenza dei Paesi produttori di frutta. Comunque non dobbiamo desistere e soprattutto teniamo presente che le conoscenze e le tecnologie necessarie ci sono e dovremmo mettere da parte gli individualismi, lavorare uniti con obiettivi ben definiti e condivisi. Non servono soldi ma organizzazione e condivisione; chissà, la speranza è l’ultima a morire. 
Un caro saluto, 
Bruno 

Caro Bruno, 
anche a nome di Daniele Bassi ti ringrazio per il conciso e puntuale commento a quanto di recente uscito sulla rivista a proposito della Pesca di Romagna IGP (clicca qui per approfondire). Il dono della sintesi è nei tuoi skill, come si dice oggi, così come il pragmatismo, che dovrebbe sempre guidare anche chi affronta dalla parte della scienza la realtà.
Condivido completamente il tuo pensiero. Non servono “cambiamenti”, ma una vera e propria “ristrutturazione” dell’ortofrutta italiana mentre, come tu sottolinei, continuiamo a lavorare sulla stessa curva di esperienza. Siamo troppo lenti a reagire a un cambiamento strutturale dell’ambiente in cui operiamo che è invece velocissimo: sia in senso stretto, come le modificazioni climatiche, che in senso lato, come le dinamiche del contesto economico e sociale.

Vorrei sottolineare, per evitare che - più o meno volutamente – a qualcuno sfugga quanto scrivi a proposito delle necessità: “Non servono soldi ma organizzazione e condivisione”. È proprio così, se avessimo organizzazioni adeguate ai tempi, ovvero più strutturate non solo sul fronte commerciale ma anche sull’assetto della proprietà e della produzione, avremmo accesso a risorse finanziarie private per ristrutturare il sistema, da integrare a quelle pubbliche, oramai esigue, in riduzione e di difficile acquisizione. 
Concludo sulla disponibilità di conoscenze e tecnologie. Anche qui sposo al 100% la tua tesi, il problema non è il know how, il problema è la sua messa a terra senza “una progettazione frutticola concertata fra Istituzioni pubbliche e Associazioni dei produttori”. L'applicazione della ricerca in essere, messa in campo da UNAPera, ne è un esempio lampante: le conoscenze, pur perfettibili, in gran parte ci sono, servono organizzazioni in grado di applicarle in modo condiviso per metterle a valore e farle progredire su “obiettivi ben definiti”. Come vedi io non ho il dono della sintesi: ho ripreso solo il tuo pensiero ma mi sono servite il doppio delle battute. 

Grazie ancora anche a nome dei nostri lettori,
Roberto Della Casa

(gc)

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