Fitofarmaci, è ora di cambiare approccio

Il reportage di IFN scuote il mondo dell’ortofrutta e fioccano i messaggi in redazione

Fitofarmaci, è ora di cambiare approccio

L’articolo di Fabrizio Pattuelli sulla situazione della difesa chimica dai parassiti delle piante (clicca qui per approfondire) ha destato grande interesse da parte dei nostri lettori. Oltre a personaggi illustri, come Maria Lodovica Gullino (clicca qui per approfondire) e Davide Vernocchi (clicca qui per approfondire), tanti operatori hanno deciso di mandare qualche riga di incoraggiamento e, qualcuno, si è spinto anche ad articolati ragionamenti sul tema. Desidero per questo ringraziare tutti di cuore a nome della Redazione, la Vostra vicinanza ci è di grande stimolo.
 
Con una newsletter giornaliera, sappiamo che il nostro pane è la cronaca e la contingenza ma non vogliamo dimenticare che vi sono temi che meritano approfondimento in ottica di lungo periodo e che, anche su questi, la stampa può avere un ruolo nell’informare l’opinione pubblica dei fatti e, magari, dare un contributo affinché – noti questi – si operi per migliorare la situazione. Data la complessità tecnica di molti di questi temi, l’incoraggiamento e il supporto dei lettori diviene fondamentale.

In calce, perciò, abbiamo scelto di pubblicare due contributi emblematici e anche crudi, fra i tanti ricevuti, perché ci hanno dato uno stimolo per proporre alla comunità ortofrutticola nazionale e anche – seppur indirettamente – internazionale la nostra visione su come riaprire il “dossier” fitofarmaci e l’approccio allo stesso. Ho scritto volutamente fitofarmaci senza null’altro per tentare, almeno una volta, di richiamare a un sano pragmatismo che permetta di costruire un progetto con confini chiari e definiti, per tentare di portare a casa un risultato soddisfacente.

So che il nostro comparto ha problemi idrici, energetici, di manodopera, di aggregazione, … ma, un piano ortofrutticolo, se mai vi sarà, vedrà la luce quando di frutta forse non ce ne sarà più. Ora l’emergenza più grave e comune a tutti gli agricoltori europei è la difesa e, questo, senza eccezioni: singoli, associati, grandi, piccoli, al nord o al sud e, se parliamo di ortofrutta, anche indipendentemente da quali specie coltivino.
Oltre ai lamenti, ai rimpianti, ai processi sommari e alle buone ma inutili intenzioni, su questo tema serve a mio avviso una mobilitazione specifica, trasversale alle aree ortofrutticole (che non sono solo nelle nazioni mediterranee) e anche a sigle e gruppi (che sono tutti sulla stessa barca), per riportare il tema della chimica sul tavolo di Bruxelles e aprire una nuova negoziazione che parta dalla scienza e dalla politica.

Considero due aspetti. Il primo è squisitamente tecnico-economico. L’Europa ha bisogno di aprire i suoi orizzonti commerciali, anche per l’alimentare, per cui non potrà blindare le sue frontiere ai prodotti agroalimentari stranieri sulla base stringente del principio della reciprocità. Ci sono troppi interessi in gioco e sono ben più grandi di quelli del mondo dell’ortofrutta.
L’Europa parimenti vuole essere virtuosa, come è giusto, ma non deve per questo uscire becca e bastonata. Tocca però ai produttori, tramite tutta la loro rappresentanza, rinegoziare alla base con la Commissione e il Parlamento i programmi di sostituzione delle molecole indispensabili ma più critiche, usate però dai nostri competitori, su un piano temporale che tenga conto dei tempi della scienza per produrre alternative. E qui entra il secondo aspetto, prettamente politico. A questo proposito faccio osservare che, sebbene a Roma sia manifesto che non ci sono abbastanza taxi, la risoluzione del problema passa più dalla corporazione dei tassisti, perché possono paralizzare la città, che dall'amministrazione dei Municipi. Il contenzioso con il Campidoglio è su numero di licenze e relativo valore rispetto a forme alternative di servizio. Tutto il resto è coreografia. il problema è chiaro e palese ma la soluzione sarà una mediazione fra le forze in campo tenuto conto del loro peso.

Parafrasando, gli agricoltori hanno dato prova di poter mettere in subbuglio l’Europa anche perché hanno il supporto dell’opinione pubblica (quelli che eleggono chi sta a Bruxelles) ma poi, però, hanno messo sul tavolo negoziale di tutto e di più in modo confuso e disordinato. Risultato: quegli stessi agricoltori si sono accorti dopo qualche mese che sono partite mille trattative e non si è portato a casa che briciole in ognuna, per cui stanno tornando in piazza. Per evitare che prendano freddo per nulla, a nostro avviso va cambiato approccio: portare un tema negoziale alla volta, partendo dalla difesa che è oggi certamente il più importante, perché condizione per produrre.

In chiusura vorrei ricordare, se ve ne fosse bisogno, che per affrontare una trattativa di questo livello, il mondo produttivo, con le sue rappresentanze, deve imbastire anche una diversa relazione con il mondo della chimica, improntato su una partnership codificata, dove ognuno fa la sua parte nella ricerca di nuove molecole in orizzonte di medio-lungo periodo. Se no fra dieci anni saremo daccapo.

 

Buongiorno da un Vecchio, stanco ma interessato.
Ecco l’opinione di un professionista del settore (diploma e laurea in scienze agrarie) coltivatore innovatore e tecnico consulente in Italia e all’estero per oltre 40 anni.
Leggendo il Vostro articolo nel quale riportavate il pensiero di Davide Vernocchi, emergono spontanee alcune considerazioni che mi frullavano nella testa da tempo…soprattutto dopo aver compreso che non è solo un nostro problema ma anche di altre agricolture come quella americana.
Questo è un punto di partenza per una riflessione, ma se ci cibiamo solo di belle parole altrui, poi scendiamo in piazza con i trattori.
Una delle considerazioni preliminari sarebbe: possiamo permetterci di continuare a coltivare con questo sistema? (In Italia Intendo) Oppure quanti di noi possono permettersi di farlo ottenendo un reddito decente? La politica italiana e comunitaria ha avuto un grande demerito, che è stato quello di aiutare tutti comunque indiscriminatamente in modo lineare. (prima della Brexit, la Royal family era la maggior percettrice di contributi comunitari legati all’agricoltura… non direttamente ma attraverso le società controllate). La comunità economica ha aiutato tutti… capaci, incapaci, inquinatori, capitalisti e affittuari. Ora come sempre succede in tutti i comparti produttivi (e non solo) chi non sopravvive si lamenta. 6 ha, ma anche meno è la superficie media delle aziende Italiane. Se si coltivano solo cereali 10 gg/anno di lavoro possono bastare. E’ giusto lamentarsi della pochezza del reddito rispetto a quanto serve per vivere se si lavora 10 gg/anno? Non credo.
Se, anziché i cereali, coltiviamo ortaggi e frutta possiamo lavorare 280 gg/anno… se ricaviamo un buon reddito non ci si lamenta.  Ma se produciamo pomodori, lamponi o altra frutta e ortaggi che possono arrivare anche dall’emisfero sud del mondo a costi inferiori a quelli nostri di produzione, stiamo facendo del bene alla società o stiamo aumentando l’entropia?
Perché non dedicare parte dei contributi dispersi linearmente all’informazione, alla formazione alla ricerca? Un kg di mirtilli (ottimi) provenienti dal Perù o Bolivia o ciliegie dal Cile, arrivano in UE in aereo dopo aver consumato 1 kg di carburante per ogni Kg di frutta.
E’ questo che vogliamo?
Quando compriamo un kg di pomodoro o melone Marocchino, compriamo circa 500 litri di acqua che in quei paesi scarseggia (500 litri sono la quantità d’acqua necessaria a produrre 1 kg di verdura…è un valore medio). Loro la recuperano spesso da falde geologiche che non si rigenereranno più… stiamo rubando il futuro a quei paesi.
Io sono anziano, da sempre agricoltore e frutticoltore, tecnico, ma da un paio di decenni mi sto chiedendo perché al supermercato anziché trovare tutto, non trovo quei prodotti che sono stati coltivati con le specifiche imposte agli agricoltori europei?
E qui ci si può riallacciare all’attenta analisi di Vernocchi…. A noi tolgono i mezzi di difesa e quindi siamo costretti ad arrenderci. Importiamo prodotti agricoli (di tutti i tipi dal grano alla frutta agli ortaggi) che sono cresciuti a “sfruttamento della manodopera” e pesticidi vietati, ritenuti pericolosi…… Non chiediamo lo sfruttamento della manodopera, come non chiediamo l’uso di fitofarmaci che sono ritenuti pericolosi per l’ambiente, ma non fateci competere con i giganti che tutto possono a costi “ambientali e umani” non tollerabili da un’etica evoluta. Un solo Davide ha sconfitto Golia. Ed è passato alla storia. Molto più spesso i giganti schiacciano i nanerottoli.
Cambiamo paradigma e cominciamo a riflettere. Riflettere sui nostri errori per evitarne di nuovi ci aiuta a non ripeterci… Non sono molto fiducioso ma propongo.

Augurando buon lavoro, saluto cordialmente
Enrico Bortolin


Buongiorno, 
sono un tecnico da qualche mese in pensione (ho 65 anni e una storia agricola che parte dal lontano 1978).
Vedo dai vostri articoli di questo ultimo periodo (clicca qui per approfondire) che si torna a parlare di P.A. che vengono meno. Ma il processo è iniziato 20 anni fa e mi chiedo dove erano questi che oggi si lamentano della situazione venutasi a creare. Dove sono le OP del pomodoro da industria a cui hanno tolto il metribuzin? (Siamo i secondi produttori al mondo di derivati del pomodoro).
L'Italia ha una vasta platea di colture minori che ci fanno unici al mondo e...non interessa a nessuno (solo alle trasmissioni Tv).
Per non parlare della componente sindacale che vergognosamente o mette la testa nella sabbia o addirittura rema contro.
Abbiano almeno il coraggio di non lamentarsi perché i buoi sono scappati e se la stalla è vuota, qualcosa sulla coscienza hanno.
Mi arrabbio con le aziende agricole che ho seguito come consulente in tutti questi anni perché non hanno più voglia di scendere in strada con i trattori (non hanno più l'età e soprattutto la voglia) e che pagano purtroppo sulla loro pelle questa situazione.
Scusandomi per averVi disturbato (ma sono schifato da quello che leggo).

Porgo cordiali saluti,
Maurizio Meneghetti
 

(gc)

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