Il meglio di IFN
La chimica fitosanitaria scomparirà… e l’ortofrutta?
In Italia revocate il 75% delle sostanze attive e l’80% degli agrofarmaci in mezzo secolo
La revoca in sede europea di prodotti fitosanitari per la difesa delle colture è ritenuta una delle criticità più importanti che il settore ortofrutticolo deve affrontare o, meglio, “subire”, vista l’imposizione unilaterale del processo. Secondo diversi operatori è la priorità assoluta, perché intere specie sono “sguarnite” nella protezione da patologie chiave. Come se non bastasse, il cambiamento climatico sta favorendo la virulenza di funghi e insetti parassiti, spesso provenienti da altre zone del Mondo e, quindi, privi di predatori autoctoni che possano contenere gli attacchi. Infine, l’assenza di alcune molecole – a partire da quelle ad ampio spettro d’azione – sta facilitando la proliferazione di patogeni già presenti da tempo nei nostri ambienti, ma che solo ora rappresentano una nuova e temibile minaccia.
In questo contesto, per diverse colture ortofrutticole è pressoché impossibile mantenere rese produttive adeguate e, quindi, un ritorno economico accettabile per il produttore, che, suo malgrado, è costretto a disinvestire non riuscendo nella maggior parte dei casi a incrementare adeguatamente i prezzi.
Ma c’è stato veramente un taglio lineare dei prodotti fitosanitari o, in realtà, gli agricoltori ci stanno marciando sopra, come affermano gli ambientalisti? Per sedare ogni dubbio, o quanto meno discutere di dati oggettivi, abbiamo spulciato la banca dati dei prodotti fitosanitari del ministero della Salute Italiana, aggiornato al 12 gennaio 2025. Al suo interno sono presenti tutti principi o, meglio, le sostanze attive, e relativi prodotti fitosanitari, commercializzati in Italia dal 1971 a oggi. In 54 anni sono state registrate 2.143 sostanze attive, pari a 17.246 prodotti fitosanitari; attualmente, invece, i nostri produttori possono utilizzare 3.447 agrofarmaci grazie a 556 sostanze attive ancora autorizzate (comprese quelle in deroga): in pratica nell’arco di mezzo secolo anni sono andati persi l’80% dei presidi fitosanitari e il 75% delle molecole.
Va specificato, per dovere di correttezza, come una sostanza possa essere stata tolta dal commercio anche perché è scaduta la registrazione, ma è una parte minoritaria dei casi (appena il 4%). Nella stragrande maggioranza la scomparsa è dovuta a una revoca da parte del Legislatore.
Approfondendo ulteriormente i dati, è evidente come il ritmo delle revoche dei prodotti fitosanitari sia aumentato a partire dagli anni 2000. In questi 25 anni, infatti, si concentrano il 75% delle revoche dei prodotti fitosanitari, una media di 390 all’anno, con picchi di mille all’anno.
Di pari passo sono aumentate le richieste di utilizzo in deroga per l’impiego di prodotti fitosanitari già autorizzati, concessi per usi di emergenza fitosanitaria, ai sensi dell’art. 53, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1107/2009. Negli ultimi 5 anni sono state concesse quasi 500 deroghe, con una media di 90 all’anno. In pratica, i produttori richiedono che un determinato prodotto già autorizzato - ma con limitazioni - possa essere ulteriormente adoperato in deroga per far fronte a una emergenza fitosanitaria. La classica mossa della disperazione, perché tecnicamente è sconsigliabile utilizzare la stessa sostanza, in quanto si possono favorire l’insorgere di fenomeni di resistenza.
Comunque sia, è lapalissiano come i numeri appena presentati certifichino un drastico calo nei prodotti fitosanitari che i produttori italiani possono impiegare per difendere le proprie colture.
L’altro punto critico riguarda la reciprocità, in primis all’interno dell’UE, perché i singoli Stati possono richiedere deroghe o limitare ulteriormente alcune sostanze. Guardiamo per esempio alla Spagna, il nostro principale concorrente, che negli anni è stata spesso accusata dal mondo produttivo nostrano di utilizzare sostanze vietate ai nostri produttori. Grazie all’aiuto del nostro corrispondente spagnolo Paco Borras, abbiamo analizzato la lista delle sostanze autorizzate in Spagna all’11 gennaio 2025, trovando 990 sostanze attive autorizzate (quasi il doppio dell’Italia), per un totale di 1.912 prodotti fitosanitari ammessi (poco più della metà di quelli nazionali). Due approcci evidentemente diversi: il Paese Iberico favorisce la gamma delle sostanze autorizzate a scapito delle formulazioni. In Italia, invece, si tende a limitare i presidi fitosanitari applicando un principio di cautela più stringente, poi il mercato frammentato delle aziende produttrici di mezzi tecnici moltiplica i prodotti fitosanitari usati.
Chiudiamo questa disamina allargando lo sguardo al di fuori del Vecchio Continente, più precisamente negli Stati Uniti, che possiedono un settore agricolo fra i più avanzati al Mondo. Il Database Americano, in questo caso, conta 1.740 sostanze attive e 2.769 prodotti fitosanitari autorizzati all’11 gennaio 2025. Un numero di molecole decisamente superiore a quello europeo, fra le quali sono presenti diverse sostanze proibite alle nostre latitudini. Per esempio, il Carbaryl, insetticida revocato in UE nel 2007 è impiegabile dagli agricoltori americani con oltre 20 preparati diversi; e che dire del Clorpirifos, vietato da 5 anni nel Vecchio Continente e ancora in uso oltreoceano (con 7 prodotti fitosanitari). Fra i fungicidi, i produttori italiani rimpiangono senza ombra di dubbio il Mancozeb, grazie alla sua attività d’azione multisito, anch’esso revocato nel 2020 mentre negli USA ci sono oltre 20 prodotti fitosanitari permessi con questa sostanza.
Queste molecole, non le abbiamo citate per caso, perché sono fra quelle che nel corso degli anni hanno dato origine al maggior numero di prodotti fitosanitari nel nostro Paese, ben superiore alle 100 unità cadauno, a dimostrazione della loro importanza nelle strategie di difesa dei produttori italiani.
Questo non significa che dobbiamo difendere ad ogni costo una sostanza attiva, nel momento in cui la sua tossicità nei confronti dell’uomo e dell’ambiente è conclamata e dimostrata scientificamente, non è certo nostra intenzione ergerci a strenui difensori della chimica. Tuttavia, se una sostanza – dopo essere stata valutata con i rigidi criteri del nostro ordinamento – viene registrata e diviene un pilastro della difesa di una determinata coltura, la logica imporrebbe che prima di eliminarla definitivamente dal commercio – o di procedere per deroghe tenendo il produttore sul filo del rasoio ogni anno – si introducessero alternative altrettanto valide o quantomeno delle varietà resistenti ai patogeni più critici.
Ecco, qui dovremmo introdurre il discorso delle TEA che grossomodo non si discosta più di tanto da quello dei prodotti fitosanitari, ma avremo tempo per approfondire anche questo tema delicato. (gc)