Cinghiatura delle pere, da difetto a peculiarità?

L’annoso problema dei difetti estetici che non pregiudicano le caratteristiche gustative

Cinghiatura delle pere, da difetto a peculiarità?

Agli amanti delle pere la stagione in corso sta riservando due costanti. Da una parte prezzi più alti nell’ordine del 40% sulle pere di origine nazionale, con punte addirittura superiori per la varietà Abate; dall’altra, la presenza di una quota importante di prodotti in vendita caratterizzata dalla cosiddetta “cinghiatura”, più frequente nelle varietà Williams e Abate.

La cinghiatura è un’alterazione causata da freddo tardivo, che si manifesta sovente nelle pere con la presenza di un anello rugginoso localizzato dalla fascia equatoriale del frutto fino alla zona calicina, da cui il nome. In talune partite osservate in vendita si è arrivati anche al 50% di frutti contrassegnati da questa particolarità che presenta in quest’annata una inusuale diffusione, effetto della cruenta gelata primaverile che ha risparmiato ben poche zone del nord Italia.

Premesso che la cinghiatura è il riscontro oggettivo di un danno causato dal freddo ai frutticini appena allegati che ne modifica l’aspetto rispetto agli standard di qualità estetica, ripetute esperienze condotte su frutti cinghiati acquistati insieme ad altri non cinghiati non hanno fornito elementi differenzianti apprezzabili sul piano delle caratteristiche della polpa e del suo tenore zuccherino (controllo visivo, sensazione alla masticazione e, anche, grado rifrattometrico).

Se l’effetto delle gelate primaverili dovesse mantenere una frequenza simile a quella manifestata nelle ultime annate nella parte settentrionale del paese, forse varrebbe la pena di riconsiderare il modo con cui classificare questa particolare situazione: da difettosità a peculiarità e tipicità, visto che non comporta effetti sulle caratteristiche gustative né sulla facilità di pelatura del frutto. Da “difetto” che riduce il valore commerciale del prodotto per effetto del suo declassamento fino a non renderlo idoneo al mercato del fresco, potrebbe diventare invece elemento di distintività, da usare anche in chiave di marketing.

Dall’altra parte, se ci pensiamo, anche le mele golden di pianura si caratterizzano per la loro accentuata rugginosità rispetto a quelle di montagna, frutto sia della genetica che del microclima, caratteristica che si accompagna solitamente a una maggiore dolcezza e a una minore croccantezza e conservabilità (per maggiori informazioni clicca qui). 

Passando poi dal particolare all’universale, questi esempi mi portano a pensare che è oramai giunto il tempo di riconsiderare profondamente le norme di qualità commerciale, non più adeguate - a mio avviso – ai tempi. La proliferazione di varietà, cloni, portinnesti e tecniche colturali, unita alla globalizzazione della frutticoltura deve portare a riconsiderare nell’ottica del cliente finale se un segno di grandine o la cinghiatura siano problemi più gravi di un grado brix insufficiente o di una durezza al penetrometro troppo elevata. Per quest’ultimo aspetto il regolamento Ue di esecuzione 543/2011, relativo alle norme di qualità commerciale, recita per le pere: “lo sviluppo e lo stato di maturazione delle pere devono essere tali da consentire il proseguimento del loro processo di maturazione in modo da raggiungere il grado di maturità appropriato in funzione delle caratteristiche varietali”; il disposto è chiaro sul piano concettuale ma si presta, però, alle più varie interpretazioni, soprattutto sul significato di “appropriato”, mentre nel regolamento di grado zuccherino minimo non vi è la minima traccia.

Che dire poi del rispetto delle “caratteristiche tipiche della varietà”, richiamato sempre dallo stesso regolamento? Per le pere Abate, la forma allungata è certo una caratteristica – anche se non con la stessa intensità nei vari areali di produzione – ma sull’aspetto calebassiforme, “a fiasco” per i mortali, come ci dobbiamo comportare, visto che verso l’apice si deforma frequentemente con mille sfumature? Non sarebbe più giusto parlare di “forma variabile, riconducibile a un fiasco allungato imperfetto tipica della varietà”? Non varrebbe la pena semplificare su questi aspetti, a mio avviso al limite del futile, e concentrare l’attenzione su ciò che può fare davvero la differenza per l’utente finale? A voi suggerimenti e commenti.