Ortofrutta, la regina dell’autogol

Abbiamo superato l’inarrivabile Comunardo Niccolai

Ortofrutta, la regina dell’autogol

Chi è nato negli anni ’60 ha certo sentito nominare questo funambolo dell’autorete. Niccolai è diventato famoso non tanto per il numero di palloni che ha mandato nella sua porta (Riccardo Ferri e Franco Baresi hanno fatto di meglio, se di meglio si può parlare) ma per il momento decisivo e il modo rocambolesco in cui realizzava le sue prodezze.
Leggendo qualche giorno fa sulla nostra rivista un comunicato stampa che tuonava sui rincari del 300% che si consumerebbero lungo la filiera (qui il link all’articolo), non ho potuto fare a meno di pensare al povero Niccolai, ricordato solo come il re degli autogol malgrado fosse anche un buon difensore.

In un momento di forte pressione mediatica su prezzi e costi come questo, come può venire in mente di portare all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dei rincari? L’analogia all’autogol del calcio mi è venuta in mente pensando che quando si è assediati in difesa viene spontaneo tentare di rinviare il più lontano possibile la palla, anziché accompagnarla semplicemente fuori campo; qualche volta, però, per effetto della poca lucidità, si svirgola la sfera nella propria porta provocando così un autogol clamoroso. Allo stesso modo, le rappresentanze dei produttori, sotto pressione per via delle difficoltà di adeguamento dei listini, stanno provando a liberare la loro area di rigore richiamando l’asimmetria nella distribuzione del valore cui sono sottoposti i loro associati. La differenza è che il gesto calcistico è involontario, dovuto a foga e imperizia, nel nostro caso – invece – l’azione è meditata e consapevole, in cui l’unica scusante può essere la non conoscenza delle leggi della comunicazione.

Acquirenti già tanto preoccupati di far quadrare conti familiari in progressiva e incontrollata crescita staranno secondo voi a sindacare di chi è la colpa dei rincari o si allontaneranno ancor più dai nostri prodotti come i vampiri dall’aglio? La risposta è pleonastica, con buona pace sia di produttori inefficienti che di distributori arroganti.
Divulgare all’opinione pubblica un’analisi sulla dimensione e responsabilità dei rincari è dannoso qualunque sia il risultato tecnico perché genera comunque un effetto negativo per tutti gli attori della filiera e, per questo, non andrebbe nemmeno pensata come opzione in chiave di comunicazione. Ma anche guardando ai contenuti dell'analisi i conti non tornano. Se volete approfondire trovate una disamina di dettaglio nell’analisi sviluppata più avanti nella newsletter di oggi (qui il link all’articolo).

A cosa servono, quindi, queste denunce pubbliche? A riequilibrare i rapporti di filiera ridando potere negoziale ai produttori? E perché mai? Semmai servono ad allontanare ancor più i clienti finali da prodotti dipinti come “ingiustamente cari”, fornendo l’ulteriore alibi del calo delle vendite a chi alla distribuzione volesse non sentire le legittime richieste dei produttori di adeguare i listini all’aumento dei costi di energia e materie prime.

Proprio “l’ingiustamente caro” dovrebbe, viceversa, essere l’oggetto delle battaglie di tutta la filiera perché falso e fuorviante. Al netto di tutti i possibili efficientamenti, in verità molto pochi per la filiera delle mele, quest’ultima ha subito aumenti di costo non comprimibili rispetto all’annata scorsa dell’ordine di 35 centesimi al kg fra fase agricola e distributiva. Sarebbe necessario recuperarli almeno in gran parte al consumo pena l’impossibilità di garantire cibo sano e di qualità, che è certo un diritto dei clienti, così come dovrebbe essere patrimonio culturale nazionale il ruolo primario dell’alimentazione nei periodi di difficoltà rispetto alle spese voluttuarie. Qui, viceversa, mi pare che proprio non ci siamo e dovremmo fare molto di più per riportare il tema all’attenzione dell’opinione pubblica.
 

Foto di apertura rielaborazione da archivio Olympia